Febbraio 2022: la versione di Thiam
In questa edizione della newsletter: una rapida carrellata sull'ultimo mese e un'intervista in esclusiva a Demba Thiam
Ben ritrovat*,
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Dalla puntata precedente della newsletter sono successe un bel po’ di cose. La SPAL ha giocato le sue prime tre partite con il nuovo allenatore Roberto Venturato (cogliendo tre pareggi), è tornato Gianni Vio, si è chiuso il mercato di riparazione con 8 volti nuovi, la formazione Primavera ha cambiato guida tecnica e c’è stato il tanto atteso “closing” definitivo che ha portato il 100% delle quote societarie della SPAL nelle mani di Joe Tacopina.
Nell’edizione che leggerai oggi c’è un solo contenuto in esclusiva, ma che ha richiesto una buona dose di tempo. Si tratta di un’intervista in esclusiva a Demba Thiam, il portiere classe 1998 della SPAL che finora ha vissuto una stagione ricca di alti e bassi. Di recente Demba è tornato titolare e ha offerto ottime prestazioni, per cui ci è sembrato sensato sederci al tavolo con lui - grazie alla collaborazione dell’ufficio stampa - e chiacchierare un po’ di vari argomenti. Buona lettura!
Demba vuole continuare a crescere
(ma non in statura, per fortuna)
di Alessandro Orlandin
[Demba Thiam in una foto di Damiano Fiorentini]
Demba, se avessimo fatto questa intervista un mese fa sarebbe stata un'intervista al terzo portiere. Invece ora vieni da tre partite da 7 in pagella se non di più.
“Ero tranquillo prima e lo sono ora, davvero. Ogni giorno vengo al campo col pensiero di allenarmi bene e di lavorare sulle cose da migliorare, tutto lì”.
Cosa c'è da migliorare?
“Tutto! Fino a che si gioca c'è sempre qualcosa da migliorare. Vale tutti per i portieri del mondo ed è così anche nella vita”.
Nel giorno di SPAL-Benevento ci hanno consegnato la distinta e quando abbiamo letto il tuo nome ci siamo detti: “Venturato si sta prendendo un rischio”. Tu invece cos'hai pensato?
“Ero tranquillissimo. Mi sono detto: 'Vado in campo e mi sfogo'. Infatti è andata bene, abbiamo fatto una bella prestazione di squadra. Sapevo soprattutto di dover dimostrare che questa categoria la posso fare senza grandi problemi”.
Però tutti hanno pensato che in caso di errori saresti stato “bruciato”, come si usa dire.
“Nella mia testa non l'ho pensato, veramente. Non ci ho mai pensato in generale, poi può capitare. Però se uno ha paura di giocare può darsi al tennis o al golf. Perché tutti i portieri sbagliano, anche quelli di serie A. Perché a me non dovrebbe capitare ogni tanto? Poi quando c'è un errore si prova a lavorare per non farlo accadere più ed è quello che ho sempre fatto”.
Nella scorsa estate la SPAL ha scelto di metterti al centro del progetto.
“Dopo il campionato dell'anno scorso avevo capito che l'idea della società era quella di puntare su di me. Poi io mi sono sempre allenato anche nelle stagioni precedenti con l'idea di giocare titolare. Anche se c'era un portiere esperto come Berisha”.
Il luogo comune vuole che per una squadra con l'obiettivo della salvezza si debba utilizzare un portiere dotato di esperienza.
“Questa idea penso esista solo in Italia. Non saprei dire il motivo, forse perché le società fanno sempre così. Però come fa un portiere giovane a fare esperienza se deve sempre stare in panchina?”.
Nelle due stagioni precedenti hai avuto modo di “studiare” in vista della titolarità.
“Lavorare con Berisha, che ha grandissima esperienza in serie A, è stata una lezione di calcio. Ho imparato molte cose da lui e non posso che ringraziarlo. Ma posso dire la stessa cosa di Gomis, con cui è nata una bella amicizia. Infatti nel momento difficile si è fatto sentire e mi ha dato dei consigli che mi hanno aiutato molto a gestire la situazione. Soprattutto sull'atteggiamento da avere, di freddezza e tranquillità”.
Ecco, a proposito del “momento difficile”. Ad un certo punto, durante la gestione di Clotet, sei diventato un'alternativa. Come hai vissuto quel periodo?
“Non mi va di parlare di questo argomento, ormai è tutto passato. Posso solo dire che sono state prese delle decisioni e io le ho accettate come deve fare un professionista. Il mio atteggiamento non è cambiato: ho sempre lavorato in allenamento per fare del mio meglio, rimanendo concentrato su me stesso. Voglio essere sempre padrone del mio destino e so che dipende da me, senza farmi distrarre da altre cose”.
Gli errori però ci sono stati.
“Ah certo, è così. Però che alternative ho? Da giocatore posso solo capire il mio errore e provare a fare meglio nell'occasione successiva. Non posso fare altro. Anche se penso che alcuni giudizi siano stati troppo severi”.
Il punto di rottura probabilmente c'è stato dopo la partita di Terni, perché non tutti sono stati d'accordo nell'attribuirti delle colpe per il secondo gol nella partita contro la Reggina.
“A Terni potevo fare meglio perché ho fatto un passo e non sono riuscito a spingere bene. Però la partita non è finita lì, perché nel secondo tempo le cose sarebbero potute andare anche peggio e ci sono stati degli interventi importanti. A Reggio Calabria il tiro di Montalto era molto forte e forse si sarebbe potuto parlare di errore vero e proprio se avessi preso gol su un tiro rasoterra. Poi è chiaro che su ogni gol preso un portiere potrebbe fare di più. In più bisogna considerare che certi gol a volte si prendono per errori in altre zone del campo. Se nel calcio nessuno sbaglia nessuno segna, no? Se sbaglia Demba però è sempre un casino (ride, ndr).
Il “casino” più grosso è successo col Como.
“Eh sì, quello è stato un errore grave. Ho sbagliato e mi prendo le mie responsabilità. Probabilmente non mi aspettavo un tiro di quel tipo e non ci sono andato con la giusta concentrazione”.
Immagino sia stato importante avere al tuo fianco il preparatore dei portieri Cristiano Scalabrelli per gestire adeguatamente quel momento.
“Sì, anche se ci conosciamo da talmente tanto tempo che non c'è quasi più bisogno di parlare. Dopo sei anni e mezzo di allenamento insieme basta uno sguardo. Alla fine la ricetta è sempre quella: comportarsi seriamente e allenarsi bene, soprattutto quando le cose non vanno come vorresti”.
Venturato ha puntato subito su di dicendo di considerarti un buon portiere già nel giorno della sua presentazione.
“Ci siamo affrontati da avversari e anche se quella partita non andò bene (la SPAL venne sconfitta per 2-0) probabilmente vide le mie qualità. Mi fa piacere. Per il resto posso dire che il mister ha portato grande serenità ed entusiasmo parlando con tutti. Dal primo giorno ha dimostrato di non voler fare particolari differenze. Sul gioco non posso dire granché perché io devo solo andare in porta e parare tutto quello che arriva (ride, ndr)”.
[Thiam nel corso di SPAL-Pisa / foto di Filippo Rubin]
Ma avevi rischiato davvero di andare via a gennaio?
“Non lo so (ride, ndr). No dai, sto bene a Ferrara con la mia famiglia e non ci ho pensato troppo. Vorrei continuare a giocare nella SPAL”.
E quanto ti manca per diventare un portiere di serie A?
“Il calcio è calcio, non credo abbia molto senso parlare in questi termini”.
Ok però se a gennaio la SPAL ti avesse detto: “Demba, hai bisogno di giocare sempre, ti mandiamo in serie C” non credo avresti applicato lo stesso ragionamento.
“Non se ne parla, non ci sarei andato. Però, davvero, non ho questi pensieri. Voglio solo giocare e non mi va di dire 'Sarò in grado di fare questo o giocare in quella categoria'. Mi interessa soprattutto crescere e fare bene alla SPAL. Abbiamo una squadra forte: salviamoci e poi vediamo cosa succederà”.
Un portiere non dice mai i suoi segreti, però ti devo chiedere come si fa a parare un rigore come quello di sabato scorso a Pordenone, peraltro in una situazione difficile.
“Se ti dico come ho fatto poi iniziano a farmi gol (ride, ndr)”.
Ok, però qual è la componente principale? Studio o intuito?
“Nel caso di Butic c'era poco da studiare perché non ha mai tirato i rigori. Diciamo che l'ho guardato bene e l'ho aspettato fino alla fine. Ed è andata nel modo giusto. Poi ci sono certi rigoristi che sono eccezionali e riescono a decidere all'ultimo istante dove calciare”.
Tra i tuoi compagni c'è qualcuno che riesce sempre a fregarti con i rigori?
“Finora Rossi, non sono ancora riuscito a prendergliene uno. Ma ci arriverò (ride, ndr)”.
[Un controllo di palla di Thiam / foto di Filippo Rubin]
Una critica che si legge spesso su di te è che non sei un granché nel giocare la palla coi piedi.
“Non voglio che passi come una giustificazione, ma nei primi mesi della stagione ho sempre giocato con un problema al piede e mi causava dolore ogni volta che rinviavo. Però non volevo assolutamente stare fuori. Poi a volte è successo di non essere sufficientemente sereno durante la partita”.
Ecco, a proposito di serenità. Nelle ultime partite è proprio cambiato il tuo linguaggio del corpo. Si è visto anche da fuori che sei molto meno in tensione.
“Uno dei problemi era quello. A volte c'era la paura di sbagliare, forse dell'agitazione. Soprattutto dopo la partita di Terni avevo perso un po' di fiducia perché si era parlato un po' troppo. Ora sono tranquillissimo e questo vuol dire tanto”.
Parliamo un attimo della squadra. Il presidente Tacopina dice che siete da playoff.
“Sono d'accordo con lui. Questa è una squadra molto forte. Intanto pensiamo a salvarci il prima possibile e poi potremo provare ad arrivare a quell'obiettivo. Io ci credo”.
Cosa te lo fa pensare?
“Questo organico ha tanta qualità. Sono sicuro che si vedrà nei prossimi mesi. Con coraggio e determinazione ci possiamo arrivare”.
Cambiamo un po' argomento: sei felice per la vittoria del Senegal in Coppa d'Africa?
“Tantissimo, era ora dopo così tanti anni d'attesa! Anche se a volte ho sperato che la nazionale continuasse così per avere una possibilità di essere chiamato e di essere uno di quelli che avrebbe vinto per primo la coppa (ride, ndr). No dai, sono felicissimo, soprattutto per i miei amici Gomis e Koulibaly”.
Però avrai ancora la speranza di essere chiamato.
“Certo, ma devo ancora fare tanto per riuscirci. I portieri del Senegal sono molto forti e non è certo facile arrivare al loro livello. Speriamo di tornare in serie A presto così l'allenatore ci farà un pensiero, chissà”.
Da quanto non visiti il Senegal?
“Ci sono stato nella scorsa estate per la prima volta dal 2013. Non vedevo i miei genitori da allora ed è stato un momento bellissimo”.
Sette anni è un periodo di tempo lunghissimo di lontananza dai propri genitori, soprattutto se si parte a quindici anni come hai fatto tu.
“Questa è una parte della storia che tanta gente non conosce o non considera. Ci sono stati tantissimi sacrifici da fare. Non è per niente facile avere attorno dei compagni di squadra che possono contare sui familiari sempre in tribuna o che magari dopo una partita ti dicono 'Torno a casa due giorni'. Io non avevo nessuno da cui tornare ed è stata dura. Però ho voluto rimanere forte per realizzare il mio sogno di giocare a calcio ad alti livelli”.
Ora hai una famiglia tutta tua che ti aspetta a casa ogni giorno. Lo scorso 20 dicembre sei diventato papà.
“È stupendo e sono felicissimo. Quando finisco l'allenamento posso andare a casa e stare con mia moglie e con la mia bambina. Infatti non vedo l'ora di far conoscere Aida ai nonni”.
Tornando al calcio, che ne pensi dell'infinito dibattito sul valore dei portieri africani?
“Dicono che non hanno concentrazione, non hanno sicurezza e sbagliano spesso... onestamente mi viene da ridere quando leggo o ascolto cose di questo tipo. Se non sbaglio l'ultima Champions League l'ha vinta una squadra (il Chelsea) che schierava un portiere africano (Mendy, titolare del Senegal). L'Inter ha appena preso Onana per la prossima stagione e non credo gli vogliano far fare il secondo. Quindi di cosa stiamo parlando?”.
Dici che ci sia una componente di discriminazione in tutto ciò?
“Può essere che in alcuni casi ci sia. Di sicuro a me è capitato spesso di pensare: 'Come mi piacerebbe essere italiano' solo per sapere se sarei stato criticato allo stesso modo dopo un errore”.
Onana ha detto più volte che il colore della pelle di un portiere influenza fin da subito il giudizio su di lui.
“Ha ragione, lo posso confermare. Che cosa cambia tra me e un portiere di pelle bianca? Dovremmo essere giudicati solo sul nostro valore in campo”.
Forse la differenza principale tra un portiere europeo e uno africano sta nella formazione. Molti bambini che iniziano a giocare a calcio in Africa non ricevono un insegnamento tecnico che invece nel nostro continente è quasi scontato, a ogni livello.
“Questo può senz'altro incidere. Io stesso non ho mai avuto questa opportunità quando ero in Senegal. Infatti quando sono arrivato a Viareggio è stato il fratello del direttore Gazzoli a insegnarmi le prime cose. Mi diceva come tuffarmi e come rialzarmi correttamente. Poi ho dovuto imparare tutto il resto. Ma d'altra parte è la vita a essere così: in qualunque lavoro c'è sempre qualcosa da imparare e per farlo bisogna ascoltare gli altri, altrimenti come facciamo a crescere?”.
Anche per stavolta è tutto. La prossima newsletter arriverà tra un mese, quindi tra l’8 e il 9 marzo 2022. Se pensi che possa interessare a qualcun*, usa questo link:
Alla prossima!
Alessandro Orlandin
e la redazione de LoSpallino.com